Il trentaduenne è cresciuto tra Santa Lucia e Castelchiodato e oggi si divide tra la Danimarca e Tivoli dove vive con la compagna.
Descrivere la sua scoperta scientifica in maniera comprensibile da tutti non è semplice. In pratica quello che ha messo a punto è un processo di fotosintesi inversa e veramente da qui a pochi anni potrebbe condizionare l’economia mondiale. Tanto per fare qualche esempio, si potrà ottenere carburante per le auto dalla paglia, fare lo zucchero con gli scarti del legno che Ikea utilizza per produrre i suoi mobili oppure come detto preparare il doppio del pane con un solo raccolto. Tutto grazie a un particolare enzima, chiamato Lpmo. Un enzima contenuto in un fungo che ha un potenziale immenso e che è stato scoperto pochi anni fa, ma che finora non si sapeva come attivare per utilizzarlo al massimo della sua efficienza.
David, può provare a descrivere in termini semplici la sua scoperta?
In termini semplici è stata definita come fotosintesi inversa. Al contrario della fotosintesi, in questo nuovo meccanismo biologico l’energia solare catturata dalla clorofilla è utilizzata per catalizzare la reazione di decomposizione della cellulosa grazie all’impiego dell’ossigeno. La cellulosa è la biomassa prodotta dalle piante durante la fotosintesi, ed è composta da glucosio che è la base della dieta umana, oppure il composto di partenza per la fermentazione di biocarburanti o delle bioplastiche. Quindi con la mia scoperta si investe l’energia solare, gratuita e rinnovabile, per trasformare un composto inerte come la cellulosa anch’essa rinnovabile, in un prodotto ultra versatile come lo zucchero più dettagliatamente il glucosio e gli oligosaccaridi. La fonte di questa cellulosa è primariamente lo scarto agricolo non edibile come la paglia dal grano, riso o orzo, il fieno eccetera, oppure il legno. Quindi da un ettaro di coltivazione si utilizzerebbe quasi interamente il raccolto cresciuto, non soltanto il grano che è la parte apicale della pianta come avviene oggi.
Il glucosio o gli oligosaccaridi prodotti con questa scoperta potrebbero essere degli integratori alimentari per aumentare il potere nutritivo e apportare anche altri benefici alla salute associati al loro consumo: effetti benefici sul diabete e molte patologie associate all’apparato digerente. È chiaro che non si potrà fare il pane interamente con tali oligosaccaridi, abbiamo ancora bisogno della farina per questo! Ma potrebbero essere aggiunti alla farina, alla pasta, o alle bevande probiotiche etc.
Quanto può costare un fare il pane oppure il carburante oggi con la sua scoperta e quanto può arrivare a costare in un futuro prossimo?
I costi sono difficili da predire specialmente in campo alimentare, ma di sicuro competitivi con i normali prezzi del cibo da scaffale. Invece per quanto riguarda i biocarburanti i prezzi sono stimati fra 60 centesimi e 1 euro per litro di etanolo basandoci sui biocarburanti di prima generazione. Inoltre la predizione futura prevede solamente un abbassamento del prezzo grazie ai continui progressi della tecnologia, invece il prezzo del petrolio, diretto concorrente, non potrà fare altro che salire perché è una risorsa fossile e che inizierà a scarseggiare prima o poi.
È stato difficile ambientarsi a Copenaghen?
Copenaghen è una città a misura d’uomo e non se ne può parlare che bene dal come è organizzata e gestita. Consiglierei un periodo forzato di stage qui in Danimarca per i nostri amministratori locali, così che possano imparare le fondamenta del senso civico, della gestione della comunità sociale e un raddrizzamento dei valori etici e morali ormai latenti da chi si occupa della gestione pubblica. In Danimarca il lavoro non è centrale nella vita di un individuo, ne è bensì al suo servizio. Qui il lavoro è un mezzo sociale per poter condurre la propria vita in tranquillità. Al contrario in Italia il lavoro e i diritti del lavoratore o la mancanza di tali, sono la prima piaga sociale, fonte di stress e di divario sociale fra gli individui, con il conseguente imbarbarimento dei comportamenti sociali.
La cultura è ciò che mi manca di più. Crescendo in Italia si ha la fortuna di assorbire la bellezza culturale che ci circonda dall’arte alla storia eterna dei nostri popoli, si sente il peso dell’eredità lasciataci da chi ha solcato il terreno prima di noi basta solo una passeggiata a Tivoli per accorgersene. La cultura è l’ultimo baluardo di ricchezza che abbiamo in Italia, ci vengono turisti da tutto il mondo per vederla e conoscerla, bisogna difenderla e mantenerla viva, solo cosi si potranno garantire nuove generazioni di pensatori e magari nuove persone capaci di fare la differenza e risollevare le sorti dell’Italia.
Hai mai presentato questa scoperta in Italia?
Si pochi giorni fa in collaborazione con il professor Cervone della Sapienza abbiamo organizzato un seminario di presentazione della scoperta. È stata una giornata davvero speciale. Ma per il momento è stata presentata nelle conferenze internazionali dagli Stati Uniti fino alla Cina e a fine giugno qui in casa in Europa a Madrid.
Pensa che per fare ricerca e per cercare investitori ormai non ci sia più spazio in Italia?
Ciò meriterebbe una discussione lunga tutto il giornale. In sintesi è la gestione della ricerca in Italia che è completamente disastrata, ma non il risultato scientifico che di per sé è ottimo. Un paragone calcistico è come se la squadra Italiana si presentasse a giocare i mondiali senza scarpini riuscendo anche a vincere mentre chi li governa dorme in alberghi di lusso. È forse una metafora valida anche per altre sfere della società. Consiglierei ancora di guardare al resto dell’Europa per imparare la gestione della ricerca, copiare il modello estero e applicarlo in Italia, ma sembrerebbe che i nostri politici non siano nemmeno in grado di fare questo.
Gli investitori non hanno nessuna voglia di sperperare soldi sapendo che fin dall’inizio metà di questi vengono spesi non per lo sviluppo di un prodotto innovativo ma per tutti altri motivi. All’estero per i primi due anni non si pagano tasse su imprese di innovazione tecnologica. Un investitore lo sa.
Che consigli darebbe a un giovane ricercatore?
Di non sentirsi mai vecchio. Un’idea o una scoperta non potranno mai essere programmate, il bello di questo mestiere è la natura stessa della scoperta che non si può prevedere. Quello che scoprirai domani, citando una mia collega americana. L’unico consiglio è di riuscire a trovare un angolo di mondo che dia tranquillità e stimoli al giovane ricercatore tale da poter catalizzare la sua curiosità, ovunque esso sia dall’Africa agli Stati Uniti non c’è una ricetta universale. Ovvio che un periodo di viaggio e incontri con nuove menti e pensatori è una condizione stimolante e imprescindibile. Vorrei parlare ai ragazzi delle scuole superiori per fargli capire che “cosa si vuol diventare da grandi” non lo si impara all’università, ma nella vita di tutti i giorni. Il percorso universitario è solamente un mezzo a disposizione per realizzare tale crescita, ma si deve essere ben motivati nell’intraprenderla. E inoltre di iniziare ad abituarsi all’idea che i mestieri non durano più una vita intera, di essere flessibili e che di sicuro un periodo di permanenza “fuori di casa” dopo la fine del liceo è una soluzione consigliabile. Non a caso in tutta Europa i ragazzi si iscrivono all’università fino a due anni dopo l’uscita dal liceo.
Fabio Orfei